Il 2021 è stato un anno a dir poco particolare: passare da giacca e cravatta alla camicia di lino con ricamo, cambiando proposta gastronomica e tipologia di servizio non è stato facile, ma ci siamo impegnati al meglio per raggiungere il miglior risultato possibile. Conosciamo il valore e l’importanza del sacrificio, l’avevamo capito con i lavori di ristrutturazione effettuati nel 2017, perché quell’occasione ci fece comprendere quanto l’impegno sia fondamentale per ottenere un qualunque tipo di risultato. Non potevamo e non volevamo arrenderci alle tante difficoltà e sono orgoglioso di quanto lo staff de Il Pagliaccio, nella sua interezza, ha saputo fare”.

 

“Sul palco, durante la premiazione, per la prima volta nella mia vita non ho trovato le parole, perché l’emozione era troppo forte. Il riconoscimento però non è solo mio, e queste non sono parole di circostanza: sono una persona fortunata, ho ragazzi che sono cresciuti anno dopo anno, servizio dopo servizio, e che mi seguono in tutto e per tutto. Io ascolto ogni ragazza ed ogni ragazzo dello staff di Sala, per recepire nuove idee e punti di vista, ma quando inizia il servizio il team deve seguire le indicazioni su cui abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare ogni giorno”. Parole proferite con grande coinvolgimento emotivo, quelle di Matteo Zappile, direttore de Il Pagliaccio, il ristorante 2 stelle Michelin di Anthony Genovese, fresco vincitore del Premio Michelin Servizio di Sala 2022 (qui tutti i premi speciali della Guida Michelin Italia 2022).

 

La luce soffusa della sala del ristorante e la calma apparente di fine servizio creano un’atmosfera avvolgente che contribuisce a rendere ancor più suggestiva la chiacchierata con Matteo. Sui rossi divani della parte più riservata del due stelle capitolino, è ancora tangibile l’emozione per un riconoscimento che valorizza non solo l’uomo e il professionista, ma anche la capacità di trasmettere il prezioso bagaglio di passione e conoscenza che lo contraddistingue.

 

Come trasmetto la flessibilità? Delegando le responsabilità. Mi occupo sempre più di alcune attività di natura manageriale e consento ai ragazzi di gestire il servizio in autonomia, controllando ogni tanto, per permettere loro di divenire sempre più confidenti. Stimolare lo staff è la cosa più difficile, ma al tempo stesso importante, perché se vengo meno io è dura, se vengono meno loro è impossibile lavorare con qualità. Mi paragono spesso all’allenatore di una squadra di calcio, il mio è un ruolo importante ma sono loro ad esser decisivi per portare a casa il risultato” ci spiega Zappile. Il 23 novembre a Matteo, durante la presentazione della Guida Michelin Italia 2022, è stato assegnato il Michelin Italy Service Award 2022, consegnato dalla Scuola di Alta Formazione di Sala Intrecci.

 

La Scuola di Alta Formazione di Sala Intrecci, voluta e gestita da Dominga, Enrica e Marta Cotarella (seconda generazione dell’azienda Famiglia Cotarella) è uno dei partner della Guida Michelin, la più importante guida sui ristoranti al mondo. In occasione dell’evento italiano Marta Cotarella, in qualità di Direttrice dell’Accademia Intrecci, ha consegnato il Premio Michelin Servizio di Sala 2022 -riconoscimento attribuito ad una personalità nella ristorazione che si distingue per la sua capacità di rendere la visita al ristorante una vera esperienza, guidando l’ospite con i suoi consigli- proprio a Matteo Zappile: “Intrecci e un’accademia in cui si apprende e si ha la possibilità di mettersi alla prova: Intrecci è una sorta di grande agorà fatta di sentimenti, di emozioni, di conoscenze. Durante i mesi trascorsi presso il campus, i ragazzi acquisiscono cultura generale, imparano a confrontarsi, a relazionarsi, ma soprattutto a vivere! Si creano un proprio bagaglio di vita che arricchiscono nel corso degli anni e che portano nel mondo del lavoro.

 

Oggi più che mai la sala, in quanto braccio armato del cuoco, è il primo impatto che il cliente ha con il ristorante. Dalla cucina può uscire il piatto più buono del mondo, ma se il personale di sala non lo sa raccontare e servire, non lo sa valorizzare, presentare, trasmettere, quel piatto rischia di non essere più considerato un grande piatto. Questo riconoscimento è attribuito a una personalità nella ristorazione che si distingue per la sua capacità di rendere la visita al ristorante una vera esperienza, guidando l’ospite con i suoi consigli. Sono orgogliosa di questo premio perché penso che oggi più che mai sala e cucina siano ‘intrecciate’ e spero così di dare, con Intrecci, il giusto riconoscimento e valore alla Sala della ristorazione tutta” ha spiegato Marta Cotarella sul palco.

 

La Sala quale elemento fondamentale della ristorazione, con la sua sinergia con la cucina e lo strategico ruolo di interfaccia con il cliente per impreziosire l’esperienza gastronomica. Un “mestiere” che necessita di studio, preparazione e stimoli: Dopo tanti anni si arriva ad un bivio: o si ammette d’aver dato tutto e si lascia, oppure occorre trovare la capacità di sapersi rinnovare cercando nuovi stimoli. Io l’ho fatto cambiando il modo di servire, introducendo la gestione dei completamente personalizzata dei tavoli, che ci consente di rivolgerci in maniera diversa da cliente a cliente”.

 

“Ho voluto portare alcune preparazioni al tavolo e trasmettere ai ragazzi un concetto importante, quello di seguire le nostre linee guida, ma con una componente di flessibilità. Se abbiamo dinanzi un cliente preparato e interessato, possiamo approfondire con lui la struttura dei piatti, mentre ad altri è giusto lasciare la libertà di godersi la serata o il pranzo perché più interessati alla convivialità del momento: cerchiamo di modulare il racconto dei piatti e dei vini, trovo sia un valore aggiunto poter contare su uno standard flessibile” ci confida Matteo.

 

Uno standard fatto di ruoli e responsabilità, briefing e confronti, gli elementi su cui poggia l’identità della Sala di Zappile: “Lo stile del servizio è l’output generato da una serie di parametri, dall’identificazione dei ruoli (maître, sommelier, direttore) all’assunzione delle responsabilità, passando per i momenti di confronto. Ogni giorno facciamo due briefing, scrutando il planning della sala per capire che tipo di ospiti avremo, facendo contemporaneamente anche formazione. Due appuntamenti, uno al mattino dalle 12 alle 12.30, l’altro dalle 19 alle 19.30, che ci permettono di aggiornarci e di approfondire la conoscenza di vari argomenti, una sorta di formazione continua”.

 

“La piena consapevolezza di ogni dettaglio che contraddistingue Il Pagliaccio è il segreto del nostro successo: ogni persona del nostro team deve conoscere i fornitori, le materie prime, i piatti ed i loro ingredienti, la carriera e la filosofia culinaria dello chef. Non avendo più la carta abbiamo la possibilità di adattare i piatti alle materie prime disponibili, e questo comporta la necessità di conoscere ogni dettaglio del menu e delle preparazioni. L’esperienza che facciamo vivere deve essere impeccabile sin dalla prenotazione, partendo da un sito efficiente”.

 

In chiusura non possiamo non affrontare due temi molto attuali, quelli legati alla scarsa disponibilità di personale e al rapporto con i clienti. Sul primo tema Matteo ha le idee molto chiare: “La difficoltà odierna nel reclutare nuovi ‘camerieri’ non è originata dall’assenza di figure disponibili a mio avviso, ma dalla scarsa voglia di volersi sacrificare. Questo è un lavoro impegnativo dal punto di vista qualitativo e quantitativo e, senza sfociare in pratiche poco ortodosse legate all’eccessivo numero di ore lavorate, cosa che rinnego con forza, richiede massima applicazione e concentrazione. Probabilmente gioca un ruolo fondamentale anche l’assenza di modelli: quando ero uno studente dell’alberghiero ho avuto la fortuna di poter contare su due esempi dal punto di vista umano e professionale (il preside e l’insegnante di Sala), due persone con una profonda conoscenza di questo mestiere. È necessario tornare a fare esperienza reale e non ad ammirare quella osservata su Instagram” sottolinea Matteo. Interessante anche il suo punto di vista sul rapporto con il cliente, quello che secondo alcuni “ha sempre ragione”, un detto non applicabile a tutte le situazioni.

 

L’essere attenti ai dettagli, la nostra caratteristica principale, non deve portarci a divenire accondiscendenti, perché sono convinto che alcuni problemi relazionali si possano evitare anche servendo un “no”. Non dobbiamo snaturarci, il nostro stile deve essere riconoscibile: molte persone pensano che la bravura di una persona in sala risieda nel saper gestire i problemi, io invece sono convinto che consista nell’evitare che questi nascano. Mi piace pensare che il riconoscimento ottenuto sia la naturale conseguenza di una filosofia legata all’accoglienza che trova la migliore espressione nel lavoro quotidiano di un team fatto di sette persone, diverse tra loro ma legate dalla nostra identità di Sala”.

 

 

Se il vino è la tua passione, se a cena sei tu che fai roteare il bicchiere e sentenzi, con fare assorto, annuendo verso il cameriere “Può versare”, ti sarà certamente capitato di pensare: “Quasi quasi faccio il sommelier”. abbiamo chiesto a matteo zappile de il pagliaccio come diventare sommelier Ma stando a Matteo Zappile, restaurant manager e capo sommelier del ristorante Il Pagliaccio di Roma, nonché docente Ais, fare un corso non è sufficiente. Per questo noi di Agrodolce ci siamo fatti dare un po’ di coordinate per capire come si diventa sommelier. Classe 1984, originario di Montecorvino Rovella, Matteo Zappile guida la sala del ristorante bi-stellato romano. Nonostante nel suo cuore non manchi l’Aglianico, in questo momento è rapito dal Nebbiolo e dal Sangiovese. In un mondo dove, mentre ti incoronano Miglior sommelier del mondo, nasce una nuova etichetta e il mondo dell’enologia evolve, frenetico, Zappile ribadisce che i corsi – di formazione o di semplice avvicinamento al vino – non bastano.

 

 

Se i corsi non bastano, cosa serve per diventare sommelier?
Ciò che serve davvero è la curiosità. Durante i corsi chiedo agli studenti cosa bevono quando vanno in discoteca. In base alla risposta, capisco se hanno o no curiosità verso il mondo del vino. Per diventare sommelier bisogna capire come sono fatte le bevande e il perché dietro ogni metodo. Basti pensare che ci sono molti esperti del settore che non sanno come si fa la birra. Essere curiosi non si impara: o ce l’hai o non ce l’hai. Prima di approdare a un corso, il cammino dell’aspirante sommelier inizia con l’autoformazione. Basta uno smartphone o un salto nelle care vecchie librerie.

 

 

Quanto tempo ci vuole?
Usando una metafora automobilistica, la gran parte dei ragazzi pensa che, finito il corso, si possa scegliere se guidare una Ferrari o una Cinquecento, cioè se diventare un divulgatore o guidare la sala di un ristorante di qualsiasi genere. Non è così. Innanzitutto, non esiste un tempo minimo di approfondimento e studio. Io bevo da 16 anni e sento di non sapere. Bisogna rimanere sempre pronti a imparare. Un’altra competenza preziosa per un aspirante sommelier è l’umiltà. Anche alla fine del più prestigioso corso di formazione e della più lunga gavetta, bisogna restare umili e assaggiare qualsiasi cosa.

 

 

Ma veniamo ai corsi. Gli enti che offrono percorsi formativi in Italia sono numerosi. Il primo metodo per la degustazione è stato scritto e brevettato dall’Ais, ma le organizzazioni che oggi creano corsi dedicati al vino si sono moltiplicate. Tra gli altri, si può scegliere tra Associazione Italiana Sommelier, Fondazione Italiana Sommelier, Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino.

 

 

Qual è il corso migliore?
Rimanendo nella metafora automobilistica, la patente non fa il guidatore, ma aver avuto dei guidatori in gamba può fare la differenza. Si deve ricordare che il corso di formazione dà gli strumenti, delle linee guida, ma sta a noi cercare la nostra strada. È come la specializzazione di un avvocato: così come ci sono i civilisti e i penalisti, così ci sono quelli che puntano sui vini biologici o su quelli naturali.

 

 

Quanto costa diventare sommelier?
Il costo medio di un corso da sommelier si aggira intorno ai 2.500 euro. In un anno un sommelier – che deve essere anche un appassionato di viaggi – non spende moltissimo. Anche in città ci sono tantissime degustazioni con biglietti d’ingresso non elevati. Queste occasioni evitano l’investimento in enoteca, di molto superiore in termini economici. Poi il professionista spende molto meno perché ha un accesso al mondo del vino differente. Il non professionista è quello che si sente più sommelier di tutti perché spende di più in vino, sbagliando. Al fattore economico, che può rappresentare una criticità, si aggiunge la difficoltà del conciliare studio e lavoro. Chi sceglie di approfondire la sommellerie di solito lavora già. E il tempo è quello che è. Ci sono nozioni molto importanti, come quelle sulla geopolitica del vino, una parte essenziale del percorso formativo perché legate al territorio, che vanno studiate in maniera approfondita, per creare quel portfolio di conoscenze necessario in questo lavoro.

 

 

Com’è cambiata la figura del sommelier?
Non è più quel tecnico super preparato che, armato di decanter, serviva il tavolo in modo scenografico. Oggi il sommelier non si occupa solo di scegliere l’abbinamento, ma deve capire il tavolo. Ogni bottiglia è legata al momento esatto in cui si beve. Per questo, il sommelier di oggi deve essere preparato sul vino, ma anche sulla psicologia e sulla cultura sociale, preparandosi a comportarsi di conseguenza e sapendo come abbinare le etichette giuste al momento giusto.

 

 

Qual è il punto di partenza per chi decide di intraprendere questa professione?
Non è il diploma. Chi ci si iscrive, lo fa già e vuole approfondire un aspetto del proprio lavoro. Per chi si avvicina alla formazione da sommelier da studente, il consiglio di è di iniziare dal basso, dalla gavetta, anche come commis de rang, per poi arrivare alla degustazione delle bevande. Sì, perché il sommelier si occupa di tutte le bevande, dall’acqua ai succhi di frutta. Per chi desidera entrare in ristoranti importanti, ci sono degli appositi test di ingresso da sostenere. Per chi non mira alla sala, il diploma da sommelier offre una preparazione adatta a lavorare nelle fiere di settore o nella comunicazione e marketing di aziende vitivinicole o come importo/export manager, ma tutto dipende dalla formazione e dalle passioni parallele a questo percorso. Se mi sono occupato di ragioneria e poi faccio il corso da sommelier e aspiro a diventare il dirigente di una grande azienda del settore, sbaglio percorso.

 

 

Un consiglio per concludere?
Chiudete gli occhi, mettete il naso nel calice e fatevi trasportare. Bisogna avere un approccio meno razionale e più emozionale al mondo del vino. E poi utilizzate sempre il cavatappi giusto!

 

 

 

 

 

 

Nasce la Confraternita del Bere Bene

Il cammino iniziatico

I GRADI D'ARTE

 

Undici passi del cammino dividono un grado dall’altro,

 

come undici sono le piume che avvolgono il calice dei maestri mescitori.

 

 

 

 

 

GLI INIZIATI

 

 

 

Il primo livello della confraternita;

 

l’iniziato è colui o colei che condivide lo spirito della confraternita in tutte le sue iniziative. L’iniziato con l’aiuto dei confratelli può percorrere gli undici passi del cordone per aspirare al grado superiore nel corso dei 150 giorni successivi alla sua nomina.

 

 

 

 

 

 

 

CONFRATELLO e CONSORELLA D’ARTE

 

Cordone bianco

 

 

 

Il secondo livello della confraternita;

 

Il confratello o consorella d’arte, è colui che si è distinto nella partecipazione ad eventi e condivisioni di ideali e progetti.

 

Il confratello o la consorella possono percorrere gli undici passi del cordone per aspirare al grado superiore nel corso dei 180 giorni successivi alla loro nomina o per essersi contraddistinti per il senso di appartenenza e di divulgazione del bere bene.

 

 

 

 

 

 

APPRENDISTA D’ARTE

 

Cordone Bordeaux

 

 

 

Il terzo livello della confraternita;

 

l’apprendista d’arte si contraddistingue per la partecipazione attiva nel gruppo, è colui che promuove in prima persona le idee e lo scopo dei maestri mescitori. L’apprendista può percorrere gli undici passi del cordone per aspirare al grado superiore nel corso dei 500 giorni successivi alla sua nomina o per essersi contraddistinto all’interno della confraternita per il senso di appartenenza, di divulgazione di organizzazione al fine di promuovere il senso comune del bere bene.

 

 

 

 

 

MAESTRO D’ARTE

 

Cordone Blue

 

 

 

Il quarto livello della confraternita;

 

il maestro d’arte è colui che promuove e diffonde il verbo della confraternita attraverso l’organizzazione di eventi, degustazioni, viaggi studio e pubblicazioni tese ad ampliare la volontà tra gli iniziati e i novizi.

 

Il Maestro d’arte deve percorrere gli undici passi del cordone con lealtà e senso d’onore  facendosi promotore in prima persona di iniziative dall’estro singolare con lo scopo di  rafforzare il senso di appartenenza alla confraternita. Il suo passaggio a diventare Gran Maestro sarà per nomina diretta di uno dei Gran Maestri fondatori dell’ordine.

 

 

 

 

 

 

GRAN MAESTRO D’ARTE

 

Cordone tricolore

 

 

 

L’ultimo livello della confraternita;

 

destinato ai fondatori ed a coloro che hanno acquisito nel tempo informazioni ed esperienze, tali da essere determinanti nell’evoluzione della confraternita e della sua grandezza d’arte.

Matteo Zappile: "Così si emozionano gli ospiti de Il Pagliaccio"

Nato in Campania, il sommelier Matteo Zappile ha mosso i primi passi nella ristorazione partendo dalle piccole sale. 

Dopo gli studi alberghieri, che lo portano all'Hotel Bellevue di Cortina a soli quattordici anni, lavora tra Gran Bretagna, Sicilia, Toscana e Costiera Amalfitana. Arriva quindi al ristorante Il Pagliaccio di Roma, due stelle Michelin dello chef Anthony Genovese.

Tra i riconoscimenti ottenuti, nel 2014 è Miglior Sommelier d’Italia attento alle birre per il Gambero Rosso, nello stesso anno la sua carta dei vini riceve il premio come Miglior Carta delle Bollicine d’Italia per L’Espresso. Infine viene premiato come Miglior Sommelier d’Italia dalla guida L'Espresso edizione 2017. 

Noi l'abbiamo incontratrato. Ci ha parlato dei suo esordi, di ciò che impara quotidianamente al lavoro e, naturalmente, di vino.

La nostra intervista a Matteo Zappile.

Come ha iniziato ad occuparsi di vino?
Mi sono innamorato dell'argomento sin dalla scuola alberghiera, quando da giovane cameriere studioso degustavo con i miei professori di Salerno.

Qual è stato il vero “salto” nella sua carriera?
L’approdo a Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana. Nel suo ristorante, Rossellinis, due stelle Michelin, l’allora maître Donato Marzolla mi chiamò a lavorare scegliendo tra tanti curricula. Non mi sono più fermato, ho viaggiato, studiato e degustato ogni volta che ho potuto. Probabilmente ne ho perso un po' in adolescenza, ma ho certamente investito nel mio futuro.  

Ci racconta com’è stato il suo arrivo al ristorante Il Pagliaccio di Roma?
Ero assistente sommelier a Palazzo Sasso, nel periodo invernale decisi di iscrivermi ad un Master di Analisi Sensoriale a Roma. Chiesi allo chef Pino Lavarra di poter impiegare i quattro mesi della chiusura dell’hotel nello studio. Lavarra chiamò per me lo chef Genovese. Sono arrivato a Roma e non me ne sono più andato.

Come ritiene si sia evoluta la figura del sommelier in questi anni?
Il sommelier oggi è di media più giovane rispetto agli anni passati, è più curioso e sicuramente più formato, è una persona che abbraccia tutte le bevande, non soltanto il vino. Il suo lavoro odierno è quello di interpretare le esigenze dei clienti, non solo in base ai propri gusti, ma anche e soprattutto in base alle circostanze.

Come sceglie un buon vino?
Lo scelgo per sensazoni, un vino mi deve trasmettere emozioni, mi deve raccontare un territorio ed una filosofia di produzione. Io personalmente non ho un vino preferito rispetto ad altri: ogni vino può essere quello giusto, dipende dalla situazione. Abbinare a prescindere o scegliere a prescindere non ha più senso, il vino va contestualizzato in dato tempo e dato luogo. 

Come racconterebbe l’esperienza enogastronomica de Il Pagliaccio ad un cliente che non è ancora stato al ristorante?
Il Pagliaccio è un circo di sapori, questo è quello che mi sento di dire. La cucina di questo ristorante è unica, inequivocabile, frutto delle esperienze dello chef Genovese, con ingredienti italiani ed un tocco di Oriente. Sicuramente una cucina a cui affidarsi senza remore. Insomma, qui cerchiamo di far viaggiare i nostri clienti tra Oriente ed Occidente, restando saldamente attaccati alla Capitale.

C’è qualcuno che considera il suo maestro?
Daniele Di Palma, uno dei sommelier con più passione che io abbia mai conosciuto, una persona che ha creduto in me quando tutti gli altri mi consideravano solo un abile studioso della materia. Con lui ho affrontato le difficoltà di un servizio attento ai dettagli e ricco di tensione, come deve essere quello di un bistellato Michelin.

Quale ritiene sia il maggior insegnamento che le ha dato ad oggi Anthony Genovese?
Anthony mi ha affidato il suo ristorante e la sua agenda, facendomi gestire dapprima il servizio e poi tutto l’insieme del ristorante. Sicuramente l’insegnamento più grande è stato quello del binomio umiltà unito a passione. Lo chef mi ha trasmesso quello che ogni giorno lui porta in cucina e nei piatti de Il Pagliaccio. Io cerco di fare lo stesso con i miei ragazzi in sala, non dimenticando mai chi sono e tutto il percorso che ho fatto per arrivare fin qui.

Come apprese, nel 2017, della sua nomina come Miglior sommelier dalla guida I Ristoranti d’Italia de L’Espresso?
Con stupore, emozione, gioia e voglia di fare ancora meglio. Il riconoscimento è arrivato in un momento di grande impegno della mia vita lavorativa, ero appena stato promosso a Restaurant Manager, certamente uno stimolo a fare sempre di più. Da allora ho vissuto il premio con responsabilità, con la consapevolezza che un traguardo come quello è un nuovo punto di partenza e non un punto di arrivo. Io e i miei ragazzi facciamo sperimentazioni tutti i giorni sui piatti di Anthony, cercando sempre di emozionarci con nuove bevande. La base per far quindi emozionare i nostri clienti.

Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Pensare al proprio futuro e credere in sé. Io a ventidue anni mi sono reinventato e ho ricominciato da capo perché sentivo che quello era il percorso giusto. Ho affrontato solitudine, incertezze e tante difficoltà, lontano dalle persone care, ma non ho mai perso di vista il mio obiettivo. Oggi sono un trentaquattrenne con tante responsabilità e tantissima passione, supportato ancora da una curiosità innata ed un grande team di lavoro.

Se il vino è la tua passione, se a cena sei tu che fai roteare il bicchiere e sentenzi, con fare assorto, annuendo verso il cameriere “Può versare”, ti sarà certamente capitato di pensare: “Quasi quasi faccio il sommelier”. abbiamo chiesto a matteo zappile de il pagliaccio come diventare sommelier Ma stando a Matteo Zappile, restaurant manager e capo sommelier del ristorante Il Pagliaccio di Roma, nonché docente Ais, fare un corso non è sufficiente. Per questo noi di Agrodolce ci siamo fatti dare un po’ di coordinate per capire come si diventa sommelier. Classe 1984, originario di Montecorvino Rovella, Matteo Zappile guida la sala del ristorante bi-stellato romano. Nonostante nel suo cuore non manchi l’Aglianico, in questo momento è rapito dal Nebbiolo e dal Sangiovese. In un mondo dove, mentre ti incoronano Miglior sommelier del mondo, nasce una nuova etichetta e il mondo dell’enologia evolve, frenetico, Zappile ribadisce che i corsi – di formazione o di semplice avvicinamento al vino – non bastano.

 

Se i corsi non bastano, cosa serve per diventare sommelier?
Ciò che serve davvero è la curiosità. Durante i corsi chiedo agli studenti cosa bevono quando vanno in discoteca. In base alla risposta, capisco se hanno o no curiosità verso il mondo del vino. Per diventare sommelier bisogna capire come sono fatte le bevande e il perché dietro ogni metodo. Basti pensare che ci sono molti esperti del settore che non sanno come si fa la birra. Essere curiosi non si impara: o ce l’hai o non ce l’hai. Prima di approdare a un corso, il cammino dell’aspirante sommelier inizia con l’autoformazione. Basta uno smartphone o un salto nelle care vecchie librerie.

 

Quanto tempo ci vuole?
Usando una metafora automobilistica, la gran parte dei ragazzi pensa che, finito il corso, si possa scegliere se guidare una Ferrari o una Cinquecento, cioè se diventare un divulgatore o guidare la sala di un ristorante di qualsiasi genere. Non è così. Innanzitutto, non esiste un tempo minimo di approfondimento e studio. Io bevo da 16 anni e sento di non sapere. Bisogna rimanere sempre pronti a imparare. Un’altra competenza preziosa per un aspirante sommelier è l’umiltà. Anche alla fine del più prestigioso corso di formazione e della più lunga gavetta, bisogna restare umili e assaggiare qualsiasi cosa.

 

Ma veniamo ai corsi. Gli enti che offrono percorsi formativi in Italia sono numerosi. Il primo metodo per la degustazione è stato scritto e brevettato dall’Ais, ma le organizzazioni che oggi creano corsi dedicati al vino si sono moltiplicate. Tra gli altri, si può scegliere tra Associazione Italiana Sommelier, Fondazione Italiana Sommelier, Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino.

 

Qual è il corso migliore?
Rimanendo nella metafora automobilistica, la patente non fa il guidatore, ma aver avuto dei guidatori in gamba può fare la differenza. Si deve ricordare che il corso di formazione dà gli strumenti, delle linee guida, ma sta a noi cercare la nostra strada. È come la specializzazione di un avvocato: così come ci sono i civilisti e i penalisti, così ci sono quelli che puntano sui vini biologici o su quelli naturali.

 

Quanto costa diventare sommelier?
Il costo medio di un corso da sommelier si aggira intorno ai 2.500 euro. In un anno un sommelier – che deve essere anche un appassionato di viaggi – non spende moltissimo. Anche in città ci sono tantissime degustazioni con biglietti d’ingresso non elevati. Queste occasioni evitano l’investimento in enoteca, di molto superiore in termini economici. Poi il professionista spende molto meno perché ha un accesso al mondo del vino differente. Il non professionista è quello che si sente più sommelier di tutti perché spende di più in vino, sbagliando. Al fattore economico, che può rappresentare una criticità, si aggiunge la difficoltà del conciliare studio e lavoro. Chi sceglie di approfondire la sommellerie di solito lavora già. E il tempo è quello che è. Ci sono nozioni molto importanti, come quelle sulla geopolitica del vino, una parte essenziale del percorso formativo perché legate al territorio, che vanno studiate in maniera approfondita, per creare quel portfolio di conoscenze necessario in questo lavoro.

 

Com’è cambiata la figura del sommelier?
Non è più quel tecnico super preparato che, armato di decanter, serviva il tavolo in modo scenografico. Oggi il sommelier non si occupa solo di scegliere l’abbinamento, ma deve capire il tavolo. Ogni bottiglia è legata al momento esatto in cui si beve. Per questo, il sommelier di oggi deve essere preparato sul vino, ma anche sulla psicologia e sulla cultura sociale, preparandosi a comportarsi di conseguenza e sapendo come abbinare le etichette giuste al momento giusto.

Qual è il punto di partenza per chi decide di intraprendere questa professione?
Non è il diploma. Chi ci si iscrive, lo fa già e vuole approfondire un aspetto del proprio lavoro. Per chi si avvicina alla formazione da sommelier da studente, il consiglio di è di iniziare dal basso, dalla gavetta, anche come commis de rang, per poi arrivare alla degustazione delle bevande. Sì, perché il sommelier si occupa di tutte le bevande, dall’acqua ai succhi di frutta. Per chi desidera entrare in ristoranti importanti, ci sono degli appositi test di ingresso da sostenere. Per chi non mira alla sala, il diploma da sommelier offre una preparazione adatta a lavorare nelle fiere di settore o nella comunicazione e marketing di aziende vitivinicole o come importo/export manager, ma tutto

dipende dalla formazione e dalle passioni parallele a questo percorso. Se mi sono occupato di ragioneria e poi faccio il corso da sommelier e aspiro a diventare il dirigente di una grande azienda del settore, sbaglio percorso.

 

Un consiglio per concludere?
Chiudete gli occhi, mettete il naso nel calice e fatevi trasportare. Bisogna avere un approccio meno razionale e più emozionale al mondo del vino. E poi utilizzate sempre il cavatappi giusto!

 

 

 

 

Matteo Zappile: storia e pensiero del Sommelier dell’Anno per I Ristoranti d’Italia 2017 de L’Espresso

Matteo Zappile, Chef Sommelier e dai primi di Ottobre anche Restaurant Manager del ristorante 2 stelle Michelin Il Pagliaccio di Roma, è stato premiato come Il Sommelier dell’Anno per I Ristoranti d’Italia 2017 de Le Guide L’Espresso.

Come ti sei avvicinato al mondo del vino?

Più che un avvicinamento è stata genetica, provengo da una famiglia di media borghesia del salernitano, dove i prodotti onnipresenti a tavola erano mozzarelle e vino rosso.

Ci sono stati dei “maestri”, o comunque delle figure importanti per la tua formazione da sommelier?

Ad un certo punto della mia carriera all’età di 23 anni mi sono rimesso in gioco e da un hotel a 4 stelle sono passato all’allora Hotel Palazzo Sasso*****L ma soprattutto sono arrivato in brigata del suo ristorante Rossellinis** dove ho conosciuto Daniele Di Palma. Il mio primo capo sommelier, a lui devo la passione e la curiosità per il mondo del vino.

Il tuo vino vitigno preferito?

Non ho vitigni preferiti, sono molto curioso e come tale bevo tutto ciò che non conosco oppure ribevo dei grandi classici. Diciamo che scegliere una bottiglia per me significa trovarmi in alcuni contesti, rispetto ai quali opto per vitigni, zone e nazioni differenti.

A tuo parere com’è cambiata e come si è evoluta la figura del sommelier e come vedi il ruolo di sommelier oggi? Pensi che in futuro il sommelier sarà sempre più un comunicatore che un semplice, seppure preparato, mescitore e servitore di vino? 

Il sommelier oggi a mio parere non è solo un mescitore o un cliente per le aziende vitivinicole, saper acquistare e scegliere il vino è tutto legato alla sensibilità e soprattutto al saper interpretare e capire chi si ha di fronte. Un sommelier oggi deve saper scegliere la giusta “bevanda” non solo il vino, deve essere un profondo conoscitore dell’animo umano e delle sue emozioni, abbinando a queste ultime qualcosa rispetto a qualcos’altro.

Concedimi una provocazione, credi che le varie associazioni (Ais, Fisar etc.) abbiano creato buoni professionisti o dei tecnici del vino, senza emozione, a cui interessa di più la resa del 23° filare, della particella 2 del cru di Cannubi?

Spesso mi chiedono a quale corso iscriversi, qual è la migliore associazione, quella che forma di più… io rispondo sempre che a prescindere dall’associazione, il mondo del vino è fatto di tanto studio, di tanta tecnica e di tanto buonsenso, ma se proprio devo schierarmi io sono sommelier professionista, degustatore ufficiale italiano e relatore Ais.

In molti ristoranti si ha come l’impressione che il maître si improvvisi sommelier, che cosa ne pensi?

Penso che oggi la figura del maître debba essere messa da parte, oggi esistono i restaurant manager che improrogabilmente devono essere sommelier, se non altro per comprendere le scelte dei loro sommelier.

Come vedi il futuro del sommelier e cosa ti aspetti dal movimento della sommellerie italiana? 

La figura del sommelier è molto importante, è capace di smuovere i fatturati delle aziende, purtroppo in Italia siamo ancora molto indietro, sia nella formazione di sommelier professionisti, sia nella scelta da parte di un datore di lavoro che deve decidere di uno stipendio in più e investire su un sommelier!

 

Hai ricevuto un riconoscimento molto importante: Miglior Sommelier d’Italia secondo la guida de L’Espresso. È una tappa importante per te?

È una tappa importantissima, sono orgoglioso, lusingato ed onorato, conosco benissimo la guida de l’Espresso, so bene quanto siano severi nei giudizi, e ricevere questo premio è per me un grande punto di partenza, per fare ancora meglio.

Perché voi uomini di sala non attraete come gli “chef”, perché i giovani non vogliono seguire il modello “uomo in nero”?

Non attraiamo perché nessuno ha ancora scommesso su di noi, d’altronde l’uomo in nero cosa fa? Accoglie i clienti, li guida in una emozionante cena, è capace di rovesciare da negativa a positiva una percezione di un evento, scegli e cura le bevande eccetera. Sono fiducioso che prima o poi, grazie anche all’associazione Noidisala, di cui faccio parte, riusciremo a ridar lustro a questo mestiere.

Oggi si parla molto del ruolo della sala, finalmente, e tu sei direttore dell’associazione NoidiSala. Come vivi questa professione? Come cerchi di accogliere il cliente?

Noidisala è stata una idea dettata da una necessità che già nel 2012 era attuale, oggi a distanza di 4 anni abbiamo attivato diversi corsi di formazione e trovato lavoro ad altrettante. Io sono Cameriere nel mio essere, il cliente deve sentirsi a suo agio, per fortuna oggi noi tutti abbiamo una percezione differente, riusciamo a indossare una maschera diversa per ogni tavolo. Il cliente decide come vuole essere accolto e trattato, a noi “solo” il compito di capirlo.

Raccontaci in breve di Noidisala.

Noidisala nasce a Roma nell’ottobre 2012 da un gruppo di amici e professionisti con un’esigenza in comune ben specifica: trovare camerieri! Decidemmo allora non solo di trovarli, ma di formarli direttamente! Oggi Noidisala conta più di 2000 iscritti all’attivo con tre corsi di formazione in esecuzione, Roma, Milano e Udine. Vanta importanti collaborazioni e partnership restando sempre un’associazione senza scopo di lucro. Nonostante quello che i cosiddetti colleghi pensano di noi, Noidisala continua nell’arduo lavoro di essere la prima e l’unica associazione i cui corsi sono tenuti da professionisti, ovvero persone che tutti i giorni si impegnano per far sì che una cena o un pranzo diventino “memorabili”!

Perché bere un vino “naturale”, ma che ha dei sentori non proprio eterei, che spesso ricordano un cane bagnato in un giorno di pioggia?

Per me il vino può essere: naturale, biologico, senza solfiti aggiunti, giallo, arancione, muffato ecc. Non transigo sull’estremismo, in tutto ciò che si fa ci deve essere un percorso, un’idea e filosofia di produzione. Riduzione, ossidazione e acescenza non sono fattori dei vini naturali, spesso solamente di vini con problemi.

Perché bere un Vermentino che sa di cosmesi, di cipria, insomma con aromi artificiali?

Appunto, io non lo bevo! Non seguo le mode, ma le studio.

Com’è il tuo rapporto con la cucina e con lo chef? E come dovrebbe essere?

Il sodalizio con Anthony Genovese dura ormai da più di 6 anni, abbiamo un ottimo rapporto soprattutto perché entrambi in maniera smisurata amiamo questo lavoro.

Se io fossi il direttore di Noi di Sala, sognerei un servizio con la lampada, un maître trancheur col suo impiattamento al tavolo, un signore dai modi cortesi e precisi che si diletta a una pressa. Cosa ne pensi?

Beh, oggi il servizio non prevede più tutte queste pratiche, anche perché riducendo sempre più lo staff alla fine non ne hai la possibilità, ma soprattutto il cliente è cambiato, un giovane oltre al trancio o alla lampada pensa a cosa c’è nel piatto, agli aromi, all’eleganza e all’equilibrio. Lampada o meno, bisogna essere sempre coerenti e fare il massimo con gli spazi che si hanno.

Devo dire che la colpa non è solo vostra se non siete attraenti, lo “chef” in molti casi è troppo egocentrico, a volte da l’impressione di voler fare tutto lui in cucina, insomma vi fa portare i piatti e servire i vini. Però ne esistono alcuni controcorrente (leggi Riccardo Camanini, un esempio per tutti) che stanno facendo qualcosa di nuovo riportando il servizio di sala in sala, vedi la pressa, il taglio della vescica in tavola e il servizio della pasta, il dessert, il torrone. Credi sia un buon esempio?

Il servizio di un ristorante è legato a tanti fattori: clientela, spazi, brigata e abitudini. La bravura sta nel far conciliare tutte queste cose, per il resto è tutto a scendere. Tutto è possibile fare, purché si resti con i piedi per terra senza voler a tutti i costi strafare.

Intervista di Sara Favilla a Matteo Zappile

Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi

Dicembre 2016
Matteo Zappile è Chef Sommelier e Restaurant Manager del ristorante 2 stelle Michelin Il Pagliaccio di Roma, e a inizio Novembre è stato premiato come “Sommelier dell’Anno” dalla prestigiosa Guida I Ristoranti d’Italia 2017 de L’Espresso. Abbiamo chiesto a lui i segreti del servizio perfetto di Krug Grande Cuvée, e così ne abbiamo stappata una bottiglia insieme, scoprendo i gesti dell’alta sommellerie che ogni #Kruglover dovrebbe conoscere per valorizzare al meglio i propri Champagne preferiti.



Matteo Zappile è Chef Sommelier del ristorante stellato Il Pagliaccio Roma di Roma (www.ristoranteilpagliaccio.com) e Direttore Amministrativo dell'Associazione Noidisala. Ci racconta, con passione, i momenti più belli legati alla sua professione: "Il Cameriere del 2015 legge i clienti, legge i tavoli, e si comporta di conseguenza. Ogni cliente è diverso dall’altro, ogni tavolo è differente: romantico, business, triste, turista, di passaggio. I clienti sono molteplici ed attenersi a regole scritte tanti anni fa sui libri di testo delle scuole alberghiere, oggi non ha senso. Ecco perché il cameriere moderno deve capire, deve essere curioso e soprattutto deve avere tanta voglia di crescere." ‪#‎100vociperlasala‬


Parlaci della tua esperienza, cosa facevi prima di diventare Chef Sommelier de Il Pagliaccio, uno dei templi dell’alta ristorazione della Capitale?

Sono cresciuto sognando questo lavoro, ho cominciato dalla pizzeria per poi approdare ai grandi hotel. Sono diventato, a 21 anni, responsabile banqueting di un hotel 4 stelle e le ore aumentavano di giorno in giorno: tutto era proporzionato alla mia felicità ed al mio star bene. Contemporaneamente studiavo all’università e frequentavo il corso da sommelier. Mi sono diplomato insieme ad altri due miei compagni, tutti e tre provenienti da una prima classe di 27 alunni, ma solo noi siamo arrivati al quinto anno. Con il passare del tempo mi sono trasferito a Ravello, al Ristorante Rossellinis dell'Hotel Palazzo Sasso, il posto che mi ha cambiato la vita, grazie al maitre e al sommelier che mi hanno introdotto pienamente nella professione: i dettagli, la cura per i clienti, l'accoglienza e la professionalità. Durante gli inverni di Ravello mi spostavo all'estero per fare esperienza e nel frattempo continuavo a studiare il vino, la mia grande passione. Anno dopo anno ho perseguito questo sogno, fino a quando nel 2011 ho incontrato lo Chef Anthony Genovese: è stato lui a vedere le mie potenzialità, così, finita l’esperienza a Ravello ho iniziato l’esperienza al Pagliaccio di Roma, dove dal 2012 mi occupo giorno dopo giorno con passione e dedizione della carta dei vini.


Che tipo di caratteristiche deve avere chi lavora in sala?

Tante, poche, semplici ma tutte accomunate da passione e dedizione. Oggi, l’uomo e la donna di sala e cantina devono prima di tutto capire il luogo di lavoro e comportarsi di conseguenza: spesso, in grandi ristoranti stellati, c'è troppa freddezza o, al contrario, troppa libertà e confidenza con i clienti. Il Cameriere del 2015 legge i clienti, capisce i tavoli e si comporta di conseguenza. Ogni cliente è diverso dall’altro, ogni tavolo è differente: romantico, business, triste, turista, di passaggio. I clienti sono molteplici ed attenersi a regole scritte tanti anni fa sui libri di testo delle scuole alberghiere, oggi non ha senso. Ecco perchè il cameriere moderno deve capire, essere curioso, preparato, formato e soprattutto deve avere tanta voglia di crescere.

Quanto bisogno c’è di figure professionali in sala oggi e quanto può essere importante la formazione oltre all’esperienza?

Siamo in balia di programmi televisivi e tante immagini atte a costruire mondi idilliaci ma non duraturi, gli chef, i grandi cuochi e gli artisti devono essere sempre accompagnati da una sala agile, duttile e versatile che si modella e si riforma così come i musicisti seguono il maestro d’orchestra. La formazione è essenziale, le scuole alberghiere, purtroppo, hanno perso il loro compito primordiale, c’è oggi bisogno di tanta umiltà e di far capire a tutti che essere Cameriere è un lavoro di tutto rispetto, che da’ la possibilità di far fare carriera, di viaggiare e conoscere il mondo ma soprattuto di essere all’interno di un mondo bellissimo, fatto di ottimo cibo e bevande d’eccellenza. Cameriere si diventa, non si nasce.


Raccontaci uno degli aneddoti che ricordi con più soddisfazione legati al tuo percorso professionale

Ricordo con estremo piacere quanto accadde un po' di tempo fa: era un sabato come tutti gli altri, il ristorante era al completo, vidi arrivare verso le 21 una coppia di ragazzi giovani, lei vestita molto bene, elegante, sul viso l’imbarazzo di essere in un grande ristorante, mi diedero l’idea di un primo appuntamento. Lei faceva fatica a portare i tacchi, forse li mette poco, pensai tra me e me. Poi vidi Lui, un ragazzo in giacca e cravatta, ogni tanto storceva il collo, no, la cravatta non la porta sempre, non è abituato, eppure scarpe lucide e camicia stirata bene. Portai la carta delle acque e degli aperitivi, quella per lei senza prezzo, la sua, invece, sì. Sapeva quanto avrebbe speso e, sarà un caso, ma il calice di champagne fu solo per Lei. Due menù degustazione da 10 portate a suggellare questa esperienza gastronomica, mi avvicinai con la carta dei vini, lui, in evidente imbarazzo, lasciò scegliere a lei che dolcemente mi disse: "Un calice di rosso". Lui non prese nulla, la cena partì così e l’idea che mi feci fu quella che il ragazzo avesse speso tutto per portare la sua bella al ristorante per la sua serata perfetta, conoscendo i suoi limiti. Non potendo restare impassibile, li coccolai un po': acque in abbinamento con un infuso e, alla fine, quando arrivò il momento del calice di rosso per lei, lo portai anche a lui, dicendogli che la scelta per la signorina era stata oculata, e che da lui, invece, avrei preferito il parere su un nuovo vino, appena arrivato, un vino che necessitava di un giudizio da un cliente. Lui capì e resse il mio gioco, quel calice di vino forse cambiò il ritmo alla serata, dandogli la possibilità di fare un brindisi e di avere più argomenti di conversazione. La cena terminò, andarono via e ringraziarono, dopo poco lui tornò con la scusa di aver dimenticato qualcosa ma sul tavolo non c’era nulla, era tornato per ringraziarci della bella serata che gli avevamo fatto passare con la sua ragazza, scusandosi di non poter lasciare mancia.
Questo è un episodio che ricordo sempre con grande emozione, è bastato capire chi fosse al tavolo, che tipo di clienti erano e soprattutto come accompagnarli nella loro sola e unica “serata”. I complimenti di un cliente così non hanno prezzo...


Alma #100vociperlasala Febbraio 2015




Matteo Zappile:

il sommelier più attento al mondo della birra 2014

 

Per il terzo anno consecutivo Birra Moretti, partner del Gambero Rosso, assegna il Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra. Quest’anno il premio vede protagonista la capitale, infatti, ad aggiudicarselo all’interno della Guida Ristoranti d’Italia 2014 è Matteo Zappile sommelier del ristorante Il Pagliaccio di Roma (due forchette Gambero Rosso) dello chef Anthony Genovese.

Zappile, 28 anni, Sommelier Professionista Master class e degustatore ufficiale italiano, si è dimostrato particolarmente sensibile e attento nel consigliare ai clienti i migliori abbinamenti tra la birra e le proposte del menu. “È per me un grande onore vincere questo Premio, un riconoscimento che ha l’intento di sottolineare come il profilo professionale del sommelier non sia legato solo alla cultura del vino, ma a tutto il mondo beverage. La mia grande passione per la birra inoltre mi rende doppiamente orgoglioso nel riceverlo” – ha dichiarato.

Questo premio vuole sottolineare l’importanza del ruolo dei sommelier nella diffusione di una corretta cultura birraria in Italia basata su un consumo di qualità, consapevole e responsabile, i cui punti fermi sono stati riassunti nella Carta dei Valori della Birra:un decalogo di dieci ‘regole d’oro’ stilato da Birra Moretti con l’avvallo di ASPI (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana).

 

www.nazionaledelgusto.com

Matteo Zappile del Pagliaccio nuovo Ambasciatore del Vino della Pace

27 gennaio 2014

 
 

di Vittorio Guerrazzi

Sono passati più di 30 anni dalla data in cui una cantina cooperativa, quella dei Produttori di Cormòns, si fece interprete di un progetto ambizioso e lungimirante, volto a promuovere nel mondo un messaggio di speranza: la creazione di una Vigna che racchiudesse l’intero mondo enologico, con l’intenzione di creare un vino che fosse araldo di unione e fratellanza.
Inizialmente erano circa 600 i vitigni provenienti dai 5 continenti, in rappresentanza di 60 Paesi, che andavano a comporre la “Vigna del Mondo”, messa a dimora nel 1983.

Alla prima vendemmina, nel 1985, presero parte cinquecento persone, tra i quali 70 ragazzi del Collegio del Mondo Unito di Duino (Ts): la festa della vendemmia a cui prendono parte ragazzi di tutto il mondo è una tradizione che si rinnova ogni anno.
Oggi sono oltre 7000 le viti della Vigna del Mondo, circa 2 ettari composti da 855 diversi vitigni che si uniscono nel Vino della Pace: da allora, innumerevoli sono stati gli artisti ed i poeti che hanno dato il loro appoggio a questo progetto, contribuendo a realizzare con la loro opera le etichette di questo Vino.
Tra questi, solo per citarne alcuni, possiamo ricordare Enrico Baj, Salvatore Fiume, Dario Fo, Arnaldo Pomodoro, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Paladino, Fernando Botero e Yoko Ono.
Altrettanto celebri sono poi gli ‘Ambasciatori del Vino della Pace’, investiti dell’onore e dell’onere di promuoverne il messaggio: da Luigi Veronelli a Luca Gardini, da Margherita Hack a Dino Zoff, da Riccardo Illy, a Luciano Benetton, per terminare con  Giorgio Pinchiorri dell’omonima Enoteca/Ristorante, insignito nel 2013.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Matteo Zappile con lo staff del Pagliaccio

La nuova annata 2012 sarà presentata il 27 Gennaio a Roma; le etichette appositamente realizzate portano le firme dell’artista Emilio Isgrò insieme ad Arrigo Levi, giornalista e scrittore, del pittore Enrico Castellani coadiuvato da Alessandro Rivali e dello scultore Kengiro Azuma, con i versi di Isabella Panfido: fa piacere poi che venga premiata la qualità ed il lavoro del Ristorante stellato “Il Pagliaccio”, location scelta per la presentazione dell’annata, guidato sapientemente dagli chef Anthony Genovese, Marion Lichtle e del suo chef sommelier Matteo Zappile, che riceveranno anche il prestigioso titolo di “Ambasciatori”.

 

 

www.lucianopignataro.it

 

 

Matteo Zappile,

ambasciatore del Vino della Pace

 

 

Quell’anno gli italiani si mettevano per la prima volta al polso lo Swatch, si assegnavano otto Oscar, al kolossal “Gandhi”, quattro a “E.T.”,  e dieci a “Flashdance”; al cinema usciva “Il ritorno dello Jedi”; Michael Jackson dominava con “Thriller”; “War” lanciava definitivamente gli U2; e si faceva notare una 25enne italo-americana, con il nome di Madonna; l’atletica leggera azzurra arrivava sul podio dei 10.000 con Alberto Cova; Meneghin portava la Nazionale del basket sul tetto d’Europa; mentre nel calcio, la Roma di Falcao, arrivava in finale di coppa campioni con l’Amburgo, e il Milan arrivava primo, ma nel campionato di serie B.

Succedeva trent’anni fa, era il 1983, proprio mentre a Cormons, una piccola località del Friuli nasceva per volontà della Cantina Produttori Cormons la Vigna del Mondo, qualcosa di mai visto fino ad allora nel mondo dell’enologia, un progetto che nasceva fin da subito con la benedizione di Luigi Veronelli, guru assoluto del vino, protagonista nell’ infondere in quegli anni nel mondo del vino un rinnovato orgoglio nazionale. La prodigiosa idea dell’enologo Luigi Soini, che avrebbe portato la cantina friulana nella storia del vino, fu di chiedere ad ogni nazione del mondo l’invio di un loro vitigno, per impiantarlo sulle colline di Cormons, nella Vigna del Mondo, e con quelle uve pregiate ma cosi diverse, dare vita al Vino della Pace. Finita la prima vendemmia, le prime bottiglie, decorate da un famoso artista, simbolo unico di pace e fratellanza, cominciarono ad essere spedite con riconoscenza ai Capi di Stato del Mondo e poi commercializzate con successo a esclusivi ristoranti ed enoteche.

Sono passati trent’anni da allora, oggi sono 855 i vitigni custoditi  nella Vigna del Mondo, in Friuli, e nel 2013 il Vino della Pace è stato festeggiato in alcuni esclusivi eventi. Nell’evento di Milano, c’erano i giornalisti Enzo Vizzari, Gian Arturo Rota, Luigi Cremona, Andrea Gabbrielli, Luca Gardini, Andrea Grignaffini, Bruno Pizzul e Toni Capuozzo. Un anno costellato di eventi dove il Vino della Pace è stato protagonista in diverse occasioni del suo messaggio di unione, sono stati nominati gli Ambasciatori del Vino della Pace e si è svolta la vendemmia, una vendemmia speciale a cui hanno partecipato, come nel 1985, anche gli studenti del Collegio del Mondo Unito di Duino provenienti da oltre 80 Paesi. L’annata dedicata ai 30 anni del Vino della Pace si chiude a Il Pagliaccio di Roma, Ristorante stellato guidato dagli Chef Anthony Genovese e Marion Lichtle, con una cena che vede nuovamente coinvolti grandi nomi del mondo enogastronomico per festeggiare i risultati raggiunti e il successo del progetto.

Fra gli invitati Adua Villa Sommelier ed esperta di enogastronomia, collaboratrice di numerose testate e programmi tv, Alberto Cauzzi di Passione Gourmet, Alessandra Moneti da Ansa Terra&Gusto, Antonio Scuteri per Repubblica Viaggi, Bruno Petronilli e Laura Di Cosimo per Spirito diVino, Cinzia Bonfà per Chef di Cucina Magazine, Gianluca Mazzella per Il Fatto Quotidiano, Lorenzo Ruggeri de Il Gambero Rosso, Luciano Di Lello di Repubblica, Luigi Cremona storico curatore delle Guide Touring e Sara Papa, Chef e grande esperta in panificazione, insieme ai rappresentanti della Cantina Produttori Cormòns. verrà presentata la nuova annata del Vino della Pace con le preziose etichette realizzate per il 2012 dall’artista Emilio Isgrò insieme ad Arrigo Levi, giornalista e scrittore, il pittore Enrico Castellani con Alessandro Rivali e Kengiro Azuma, il cui lavoro sarà accompagnato dai versi di Isabella Panfido.

Nel corso della serata, in programma lunedì 27 gennaio, sarà conferito dai vertici della Cantina Produttori Cormòns il titolo di “Ambasciatore del Vino della Pace” al Ristorante Il Pagliaccio di Roma e al suo Chef Sommelier Matteo Zappile, che ha guidato la verticale di degustazione del Vino della Pace anche nel corso dell’evento di Milano. Un anno davvero speciale per la Cantina Produttori Cormòns, un anno di grandi festeggiamenti e di successi che ha permesso di diffondere il messaggio di pace racchiuso in questo vino unico al mondo e di raccontare la storia di una realtà cooperativa di grande livello che ha avuto il coraggio di confrontarsi con i maggiori esperti del settore enogastronomico e di crescere insieme a loro.

Luca Bonacini

 

 

 

 

BIRRA MORETTI

al ROMA FOOD&WINE

FESTIVAL 2013

 

 

“La sommellerie romana incontra Birra Moretti”
Birra Moretti al Roma Food&Wine Festival 2013 sarà presente con una duplice attività, che coinvolgerà cinque sommelier – tra nomi blasonati e nuove leve di talento - che sono attivi sulla piazza romana.

 

I sommelier coinvolti saranno:
Marco Reitano, sommelier La Pergola del Rome Cavalieri (3 stelle Michelin)
Matteo Zappile, sommelier Il Pagliaccio (2 stelle Michelin)
Rudy Travagli, sommelier Ristorante Italia, presso Eataly Roma
Marco Amato, sommelier Imago dell’Hotel Hassler (1 stelle Michelin)
Barbara Pansa, sommelier responsabile Enoteca di Eataly Roma

La collaborazione dei sommelier si svilupperà in due momenti:

1. Abbinamento Birra - Piatti chef in calendario:
In ognuno dei 5 appuntamenti, ogni sommelier indicherà l’abbinamento ricetta-birra e tre chef realizzeranno una ricetta ciascuno, suggerendo tre abbinamenti.

2. Blind test al corner Birra Moretti
Ogni sommelier proporrà al pubblico un’attività di blind test di un’ora da realizzarsi al corner espositivo Birra Moretti.

 

www.birramoretti.com

GUIDA RISTORANTI ESPRESSO 2014

 

PREMIO GUIDO BERLUCCHI SELEZIONE BOLLICINE 2014

 

RISTORANTE IL PAGLIACCIO ROMA

 

 

C’è anche una ricca sventagliata di premi speciali anticipati dalle pagine di Repubblica come da tradizione a Ferragosto

Pranzo dell’anno: Povero Diavolo a Torriana (Rimini)
Cantina dell’anno: Villa Maiella a Guardiagrele (Chieti)
Maitre dell’anno: Carlo Pierato, Mistral a Bellagio (Como)
Sommelier dell’anno: Angelo Di Costanzo, L’Olivo del Capri Palace a Capri (Napoli)
Giovane dell’anno: Alessandro Dal Degan, La Tana di Asiago (Vicenza)
Novità dell’anno: Locanda di Orta San Giulio (Novara)
Performance dell’anno: Rossellinis di Palazzo Alvino a Ravello (Salerno)
Giovane dell’anno: Alessandro Dal Degan de La Tana di Asiago (Verona)
Piatto dell’anno: La Madia di Licata (Agrigento)
Caffè dell’anno: Antica Corona Reale di Cervere (Cuneo)
Selezione vini internazionali: Perbellini a Isola Rizza (Verona)
Qualità del made in Italy: Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio (Mantova)
Selezione di bollicine: Il Pagliaccio a Roma
Pasticceria dell’anno: Il Palagio del Four Seasons a Firenze
Alla Carriera: Le Colline Ciociare ad Acuto (Frosinone)
Enotavole dell’anno: Antica Enoteca Guidi a Novara, Godenda di Padova e Taverna del Gusto di Piacenza


www.dissapore.com

La Guida Ristoranti Espresso 2014

 

 

 


 

 

Alla Stazione Leopolda di Firenze è stata lanciata la Guida Ristoranti Espresso 2014, tra grandi chef e premi speciali.

 

 

 i Premi Speciali:

 

 

Due chicche molto interessanti: oltre all’interessante introduzione del direttore Enzo Vizzari sull’argomento “La cucina italiana vince nel mondo ma…”, è uscita anche una bella versione su iPhone e iPad.

 

Più Cappelli per tutti!

 

www.italiasquisita.net

La rivista enograstronomica Artù dedica un lungo ed interessante articolo al ristorante Il Pagliaccio, sottolineando lo spirito creativo, innovativo e sperimentatore dello chef Genovese. Attraverso le parole dello chef stesso, l'articolo racconta le scelte della cucina de Il Pagliaccio, sia in termini di proposte culinarie e di vini, sia per quanto riguarda il rapporto tra prezzo e qualità, sia infine per le scelte attuate nei confronti del personale.

 

rivista; Artù

 

 

 

 

 

 

 

Matteo Zappile

sommelier Master Class del Ristorante "Il Pagliaccio",

docente presso l' Italian Genius Academy



Matteo Zappile, sommelier Master Class del ristorante due Stelle Michelin "Il Pagliaccio" di Roma, verrà oggi in Accademia per una lezione con la terza edizione del corso di cucina IGA.

La lezione verterà sul Restaurant Management, una parte molto interessante ed indispensabile per gli studenti: in particolar modo, gli
argomenti trattati saranno:

- La classificazione delle Imprese ricettive e ristorative;
- Il reparto F&B;
- La pianificazione manageriale;
- Il margine contributivo;
- Il marketing nella ristorazione.

Matteo Zappile ha vinto il premio del Gambero Rosso in associazione con Birra Moretti proprio per il suo ruolo ed interesse particolare per la birra, nel prestigioso ristorante "Il Pagliaccio", guidato dallo chef Anthony Genovese.

 

www.italiangeniusacademy.com

FOOD AND BEVERAGE

LE BOLLICINE DI NATALE 2013

 

 

 

Da grande Farò...

Il Sommelier

 

Matteo Zappile: saper servire emozioni

Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.

 

Come ha deciso di fare questo lavoro?

«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»

 

Che cosa significa essere un sommelier  oggi?

«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».

 

Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?

«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».

 

E quali ostacoli deve affrontare?

«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».

 

Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?

«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».

 

Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?

«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».

 

Qual è il suo rapporto con il vino?

«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».

 

E con i clienti?

«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».

 

Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?

«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».

 

Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?

«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».

 

Quali sono i clienti più difficili?

«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».

 

Come si costruisce una carta dei vini?

«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».

 

Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?

«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».

 

Vini italiani o stranieri?

«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».

 

Qual è il suo preferito  e perché?

«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».

 

È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».

 

La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?

«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».

 

So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?

«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».

 

Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?

«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».

 

E come pensa che cambierà in futuro?

«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.

 

Di Daniela Guaiti

http://www.lacucinaitaliana.it/lcipro/index.php/2013/11/il-sommelier/

 

Da grande Farò – Il Sommelier

Matteo Zappile: saper servire emozioni

Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.

Come ha deciso di fare questo lavoro?

«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»

Che cosa significa essere un sommelier  oggi?

«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».

Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?

«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».

E quali ostacoli deve affrontare?

«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».

Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?

«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».

Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?

«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».

Qual è il suo rapporto con il vino?

«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».

E con i clienti?

«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».

Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?

«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».

Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?

«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».

Quali sono i clienti più difficili?

«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».

Come si costruisce una carta dei vini?

«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».

Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?

«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».

Vini italiani o stranieri?

«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».

Qual è il suo preferito  e perché?

«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».

È più difficile degustare o raccontare un vino?

«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».

La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?

«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».

So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?

«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».

Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?

«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».

E come pensa che cambierà in futuro?

«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.

Di Daniela Guaiti

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Da grande Farò – Il Sommelier

Matteo Zappile: saper servire emozioni

Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.

Come ha deciso di fare questo lavoro?

«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»

Che cosa significa essere un sommelier  oggi?

«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».

Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?

«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».

E quali ostacoli deve affrontare?

«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».

Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?

«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».

Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?

«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».

Qual è il suo rapporto con il vino?

«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».

E con i clienti?

«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».

Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?

«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».

Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?

«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».

Quali sono i clienti più difficili?

«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».

Come si costruisce una carta dei vini?

«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».

Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?

«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».

Vini italiani o stranieri?

«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».

Qual è il suo preferito  e perché?

«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».

È più difficile degustare o raccontare un vino?

«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».

La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?

«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».

So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?

«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».

Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?

«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».

E come pensa che cambierà in futuro?

«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.

Di Daniela Guaiti

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jjjjjjhjoòDa grande Farò – Il Sommelier

Matteo Zappile: saper servire emozioni

Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.

Come ha deciso di fare questo lavoro?

«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»

Che cosa significa essere un sommelier  oggi?

«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».

Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?

«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».

E quali ostacoli deve affrontare?

«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».

Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?

«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».

Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?

«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».

Qual è il suo rapporto con il vino?

«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».

E con i clienti?

«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».

Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?

«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».

Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?

«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».

Quali sono i clienti più difficili?

«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».

Come si costruisce una carta dei vini?

«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».

Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?

«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».

Vini italiani o stranieri?

«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».

Qual è il suo preferito  e perché?

«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».

È più difficile degustare o raccontare un vino?

«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».

La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?

«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».

So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?

«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».

Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?

«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».

E come pensa che cambierà in futuro?

«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.

Di Daniela Guaiti

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Da grande Farò – Il Sommelier

Matteo Zappile: saper servire emozioni

Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.

Come ha deciso di fare questo lavoro?

«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»

Che cosa significa essere un sommelier  oggi?

«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».

Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?

«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».

E quali ostacoli deve affrontare?

«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».

Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?

«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».

Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?

«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».

Qual è il suo rapporto con il vino?

«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».

E con i clienti?

«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».

Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?

«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».

Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?

«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».

Quali sono i clienti più difficili?

«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».

Come si costruisce una carta dei vini?

«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».

Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?

«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».

Vini italiani o stranieri?

«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».

Qual è il suo preferito  e perché?

«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».

È più difficile degustare o raccontare un vino?

«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».

La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?

«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».

So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?

«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».

Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?

«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».

E come pensa che cambierà in futuro?

«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.

Di Daniela Guaiti

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Vino della Pace al Pagliaccio

di Luigi Cremona

 

 

30 anni di Vino della Pace, un vino che nasce da una vigna con uve provenienti da tutto il mondo che ormai è diventata una collezione varietale di grande importanza.Nasce un vino particolare, che vuole essere simbolo di fratellanza tra tutte le genti. Ogni anno si chiamano tre artisti per creare tre differenti etichette e si nomina un ambasciatore. Quest'anno la scelta è andata al bravo Matteo Zappile, sommelier del Pagliaccio. Ad accompagnare il brindisi i piatti di Marion e Anthony Genovese, come dire che è stata una bella serata.

ITALIASQUISITA

 

 

 

 

 

 

Uno splendido seminario tenuto in collaborazione con La Dott.ssa Albanese sulla capacità delle emozioni di "creare impresa".

Abbiamo affrontato un tema sempre più attuale; carpire lo stato d'animo dei clienti odierni per reinterpretare le loro esigenze e soddisfare le loro aspettative.

 

Maggio 2015, Roma

 

 

 

La Passione, il motore della Ristorazione

 

Tante riviste, tanti giornali, tanti blog pubblicano articoli sulla ristorazione, su giovani camerieri che cercano lavoro, sulla speranza di trovare un’occupazione che possa garantire loro un futuro quantomeno accettabile.
Non si parla mai invece delle tante strutture ricettive e ristorative che sono alla ricerca di queste figure, oggigiorno sempre più difficili da reperire.

“Emergenza Sala”, un fenomeno che sta dilagando sempre di più: in un tempo di crisi assoluta come questo c’è un settore che potrebbe dare lavoro a tante persone e che invece arranca tra curricula di ex imprenditori, di avvocati e di gente che ha perso o ha trovato altri interessi.
Ma questo lavoro non si improvvisa, non esiste un canovaccio dal quale poter prendere spunto, non è una commedia: si va in servizio preparati e consapevoli delle proprie potenzialità, pena un servizio non all’altezza dell’azienda in cui ci si trova.
Elemento fondamentale di ogni curriculum e di ogni buon colloquio è la passione, che spesso non traspare, che non è per niente radicata in quegli operatori che invano ora cercano e sempre cercheranno lavoro nella ristorazione.
Il settore turistico non è come tutti gli altri, ha bisogno di assoluta dedizione; non si contano le ore, non si contano i giorni passati a studiare per essere sempre di più preparati, per rispondere a clienti esigenti e soprattutto per arricchire il proprio bagaglio culturale.
Il sacrificio come motore trainante della passione: ecco che allora tanti “camerieri” privi di tutto ciò restano senza lavoro, lasciati in quel “limbo” lavorativo che nessuno di noi sa descrivere ma che purtroppo nel 2013 conta tanti aspiranti camerieri.

Allora cosa fare? Come redimersi affinché ognuno di noi trovi la sua strada?
La soluzione finale non c’è.
Sempre di più le aziende cercano giovani, giovani, giovani; è la parola che ricorre di più negli annunci di lavoro.
Non c’è più fiducia nell’istruzione statale né tantomeno in quella privata: ecco perché un team di lavoro preferisce assumere un operatore senza nessuna esperienza e formarlo da zero piuttosto che, sembra strano a dirlo, assumere un operatore che ha già avuto molte esperienze.
Paradossalmente plasmare le nuove generazioni è molto più facile che investire in generazioni ormai logorate dalla quotidianità e da usi e tecniche non più attuali.
Ma non tutto è perduto: sicuramente la voglia, la passione e le ambizioni costituiscono un titolo preferenziale rispetto ai tanti curricula che sono lo specchio di una crisi di altri settori commerciali.
La ristorazione, per finire, è un mondo del quale ci s’innamora perdutamente, come di una dolce fanciulla; è amore profondo e assolutamente non ripagato in carattere economico, ma basta uno sguardo, un complimento o una stretta di mano di un cliente che per una sera si è trovato bene, che per una volta ha trascorso una serata indimenticabile, ed ecco che tutti i sacrifici per un attimo vengono ripagati: finalmente chi, come me, ha assoluta passione per questo lavoro, trova e ottiene la giusta ricompensa.

 

Matteo Zappile
Direttore Amministrativo NoidiSala

 

www.lacucinaitaliana.it

La guida de I Cento di Roma 2020: classifica e premi

Il campione di quest’anno è Anthony Genovese, sempre più consapevole e sorprendente. Il suo Pagliaccio è un circo di sapori che non
stanca mai, accompagnato da un servizio che gira alla perfezione, capitanato da Matteo Zappile
”.

Ma non c’è solo la testa della classifica da tenere d’occhio. Tante le new entry di quest’anno da segnalare: Adelaide all’Hotel Vilòn; Barrique Poggio Le Volpi by Oliver Glowig; Acquolina, The First Roma Arte; Jacopa; F’Orme Osteria; Bunker Kitchen Club; Moi; Atlas Coelestis e la Trattoria Sora Lella. A conferma che i luxury hotel della capitale custodiscono cucine di grande carattere e qualità, ma si inseriscono in un panorama già fertile di insegne tradizionali.



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Nato in Campania, il sommelier Matteo Zappile ha mosso i primi passi nella ristorazione partendo dalle piccole sale. 

 

Dopo gli studi alberghieri, che lo portano all'Hotel Bellevue di Cortina a soli quattordici anni, lavora tra Gran Bretagna, Sicilia, Toscana e Costiera Amalfitana. Arriva quindi al ristorante Il Pagliaccio di Roma, due stelle Michelin dello chef Anthony Genovese.

 

Tra i riconoscimenti ottenuti, nel 2014 è Miglior Sommelier d’Italia attento alle birre per il Gambero Rosso, nello stesso anno la sua carta dei vini riceve il premio come Miglior Carta delle Bollicine d’Italia per L’Espresso. Infine viene premiato come Miglior Sommelier d’Italia dalla guida L'Espresso edizione 2017. 

 

Noi l'abbiamo incontratrato. Ci ha parlato dei suo esordi, di ciò che impara quotidianamente al lavoro e, naturalmente, di vino.

 

La nostra intervista a Matteo Zappile.

 

Come ha iniziato ad occuparsi di vino?
Mi sono innamorato dell'argomento sin dalla scuola alberghiera, quando da giovane cameriere studioso degustavo con i miei professori di Salerno.

 

Qual è stato il vero “salto” nella sua carriera?
L’approdo a Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana. Nel suo ristorante, Rossellinis, due stelle Michelin, l’allora maître Donato Marzolla mi chiamò a lavorare scegliendo tra tanti curricula. Non mi sono più fermato, ho viaggiato, studiato e degustato ogni volta che ho potuto. Probabilmente ne ho perso un po' in adolescenza, ma ho certamente investito nel mio futuro.  

 

Ci racconta com’è stato il suo arrivo al ristorante Il Pagliaccio di Roma?
Ero assistente sommelier a Palazzo Sasso, nel periodo invernale decisi di iscrivermi ad un Master di Analisi Sensoriale a Roma. Chiesi allo chef Pino Lavarra di poter impiegare i quattro mesi della chiusura dell’hotel nello studio. Lavarra chiamò per me lo chef Genovese. Sono arrivato a Roma e non me ne sono più andato.

 

 

 

Come ritiene si sia evoluta la figura del sommelier in questi anni?
Il sommelier oggi è di media più giovane rispetto agli anni passati, è più curioso e sicuramente più formato, è una persona che abbraccia tutte le bevande, non soltanto il vino. Il suo lavoro odierno è quello di interpretare le esigenze dei clienti, non solo in base ai propri gusti, ma anche e soprattutto in base alle circostanze.

 

Come sceglie un buon vino?
Lo scelgo per sensazoni, un vino mi deve trasmettere emozioni, mi deve raccontare un territorio ed una filosofia di produzione. Io personalmente non ho un vino preferito rispetto ad altri: ogni vino può essere quello giusto, dipende dalla situazione. Abbinare a prescindere o scegliere a prescindere non ha più senso, il vino va contestualizzato in dato tempo e dato luogo. 

 

Come racconterebbe l’esperienza enogastronomica de Il Pagliaccio ad un cliente che non è ancora stato al ristorante?
Il Pagliaccio è un circo di sapori, questo è quello che mi sento di dire. La cucina di questo ristorante è unica, inequivocabile, frutto delle esperienze dello chef Genovese, con ingredienti italiani ed un tocco di Oriente. Sicuramente una cucina a cui affidarsi senza remore. Insomma, qui cerchiamo di far viaggiare i nostri clienti tra Oriente ed Occidente, restando saldamente attaccati alla Capitale.

 

C’è qualcuno che considera il suo maestro?
Daniele Di Palma, uno dei sommelier con più passione che io abbia mai conosciuto, una persona che ha creduto in me quando tutti gli altri mi consideravano solo un abile studioso della materia. Con lui ho affrontato le difficoltà di un servizio attento ai dettagli e ricco di tensione, come deve essere quello di un bistellato Michelin.

 

Quale ritiene sia il maggior insegnamento che le ha dato ad oggi Anthony Genovese?
Anthony mi ha affidato il suo ristorante e la sua agenda, facendomi gestire dapprima il servizio e poi tutto l’insieme del ristorante. Sicuramente l’insegnamento più grande è stato quello del binomio umiltà unito a passione. Lo chef mi ha trasmesso quello che ogni giorno lui porta in cucina e nei piatti de Il Pagliaccio. Io cerco di fare lo stesso con i miei ragazzi in sala, non dimenticando mai chi sono e tutto il percorso che ho fatto per arrivare fin qui.

 

 

 

Come apprese, nel 2017, della sua nomina come Miglior sommelier dalla guida I Ristoranti d’Italia de L’Espresso?
Con stupore, emozione, gioia e voglia di fare ancora meglio. Il riconoscimento è arrivato in un momento di grande impegno della mia vita lavorativa, ero appena stato promosso a Restaurant Manager, certamente uno stimolo a fare sempre di più. Da allora ho vissuto il premio con responsabilità, con la consapevolezza che un traguardo come quello è un nuovo punto di partenza e non un punto di arrivo. Io e i miei ragazzi facciamo sperimentazioni tutti i giorni sui piatti di Anthony, cercando sempre di emozionarci con nuove bevande. La base per far quindi emozionare i nostri clienti.

 

Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Pensare al proprio futuro e credere in sé. Io a ventidue anni mi sono reinventato e ho ricominciato da capo perché sentivo che quello era il percorso giusto. Ho affrontato solitudine, incertezze e tante difficoltà, lontano dalle persone care, ma non ho mai perso di vista il mio obiettivo. Oggi sono un trentaquattrenne con tante responsabilità e tantissima passione, supportato ancora da una curiosità innata ed un grande team di lavoro.

 

 

 

Il ristorante "Il Pagliaccio" è tra i migliori ristoranti del mondo della Guida 2020 de Les Grandes Tables du Monde, presentata a Parigi ieri presso il Pavillon Ledoyen.

Il ristorante capitolino dello chef stellato Anthony Genovese già nel mese di ottobre era stato annunciato come membro ufficiale dell'Associazione, che si era riunita in occasione del 65/o congresso a Saint-Jean-Cap-Ferrat, in Provenza. In una nota è ricordato che "l'Associazione riserva la massima attenzione nella valutazione delle strutture ristorative applicando rigidi criteri di ammissione che vanno a preservare l'esclusività dei ristoranti che rientrano in questi standard qualitativi". "Per questo motivo- viene aggiunto- l'ingresso rappresenta per Il Pagliaccio un importante traguardo raggiunto, una dimostrazione dell'eccellenza che il ristorante riserva ai suoi ospiti e della cura che pone nello spingere sempre più avanti la propria idea di ristorazione di alto livello".

Il Pagliaccio è l'unico due stelle Michelin a Roma.(ANSA).

La Guida I Cento Roma 2019, EDT Edizioni, parla di noi. Siamo stati identificati come il miglior servizio di sala di Roma e abbiamo ricevuto il premio “IN PUNTA DI SALA”.