Da grande
Farò...
Il
Sommelier
Matteo Zappile: saper servire emozioni
Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo,
proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una
professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione
al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile, ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo
dell’associazione Noi di Sala.
Come ha deciso di fare questo lavoro?
«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in
Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o
semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»
Che cosa significa essere un sommelier oggi?
«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei
camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la
loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».
Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?
«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione,
curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai: occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici
della nostra carriera».
E quali ostacoli deve affrontare?
«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio
intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier
deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».
Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?
«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia
svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la
serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».
Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il
sommelier?
«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e
accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».
Qual è il suo rapporto con il vino?
«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di
tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».
E con i clienti?
«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini,
fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti sacrifici».
Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?
«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia
curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».
Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?
«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente
scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia
ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».
Quali sono i clienti più difficili?
«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che
ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».
Come si costruisce una carta dei vini?
«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e
ovviamente preferenze del sommelier».
Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?
«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte
considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».
Vini italiani o stranieri?
«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata;
generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini capaci di emozionare».
Qual è il suo preferito e perché?
«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il
primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una degustazione emozionale più che di etichetta».
È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».
La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e
leggerezza?
«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa,
dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni sommelier deve adottare la terminologia giusta».
So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre
nell’alta ristorazione?
«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a
una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e
trovano sempre un grande successo».
Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?
«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che
spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper
trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».
E come pensa che cambierà in futuro?
«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni
sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni,
e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento indimenticabile.
Di Daniela Guaiti
http://www.lacucinaitaliana.it/lcipro/index.php/2013/11/il-sommelier/
Da grande Farò – Il Sommelier
Matteo Zappile: saper servire emozioni
Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un
ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma
anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile,
ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.
Come ha deciso di fare questo lavoro?
«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a
comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla
passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»
Che cosa significa essere un sommelier oggi?
«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in
un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati
crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».
Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?
«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai:
occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».
E quali ostacoli deve affrontare?
«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma
tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue
esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».
Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?
«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce
dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto
importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».
Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?
«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».
Qual è il suo rapporto con il vino?
«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella
dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».
E con i clienti?
«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti
sacrifici».
Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?
«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne
saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».
Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?
«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire
a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».
Quali sono i clienti più difficili?
«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».
Come si costruisce una carta dei vini?
«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».
Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?
«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».
Vini italiani o stranieri?
«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini
capaci di emozionare».
Qual è il suo preferito e perché?
«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una
degustazione emozionale più che di etichetta».
È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».
La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?
«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni
sommelier deve adottare la terminologia giusta».
So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?
«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette
di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».
Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?
«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande
successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».
E come pensa che cambierà in futuro?
«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del
sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento
indimenticabile.
Di Daniela Guaiti
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Da grande Farò – Il Sommelier
Matteo Zappile: saper servire emozioni
Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un
ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma
anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile,
ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.
Come ha deciso di fare questo lavoro?
«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a
comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla
passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»
Che cosa significa essere un sommelier oggi?
«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in
un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati
crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».
Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?
«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai:
occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».
E quali ostacoli deve affrontare?
«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma
tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue
esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».
Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?
«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce
dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto
importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».
Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?
«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».
Qual è il suo rapporto con il vino?
«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella
dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».
E con i clienti?
«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti
sacrifici».
Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?
«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne
saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».
Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?
«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire
a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».
Quali sono i clienti più difficili?
«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».
Come si costruisce una carta dei vini?
«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».
Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?
«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».
Vini italiani o stranieri?
«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini
capaci di emozionare».
Qual è il suo preferito e perché?
«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una
degustazione emozionale più che di etichetta».
È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».
La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?
«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni
sommelier deve adottare la terminologia giusta».
So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?
«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette
di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».
Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?
«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande
successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».
E come pensa che cambierà in futuro?
«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del
sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento
indimenticabile.
Di Daniela Guaiti
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Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un
ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma
anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile,
ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.
Come ha deciso di fare questo lavoro?
«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a
comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla
passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»
Che cosa significa essere un sommelier oggi?
«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in
un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati
crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».
Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?
«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai:
occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».
E quali ostacoli deve affrontare?
«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma
tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue
esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».
Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?
«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce
dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto
importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».
Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?
«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».
Qual è il suo rapporto con il vino?
«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella
dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».
E con i clienti?
«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti
sacrifici».
Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?
«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne
saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».
Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?
«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire
a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».
Quali sono i clienti più difficili?
«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».
Come si costruisce una carta dei vini?
«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».
Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?
«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».
Vini italiani o stranieri?
«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini
capaci di emozionare».
Qual è il suo preferito e perché?
«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una
degustazione emozionale più che di etichetta».
È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».
La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?
«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni
sommelier deve adottare la terminologia giusta».
So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?
«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette
di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».
Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?
«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande
successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».
E come pensa che cambierà in futuro?
«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del
sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento
indimenticabile.
Di Daniela Guaiti
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Da grande Farò – Il Sommelier
Matteo Zappile: saper servire emozioni
Saper degustare e analizzare un vino, ma anche descriverlo e “spiegarlo” a un cliente, servirlo, proponendo abbinamenti e accostamenti, ma non solo: le funzioni di un sommelier in un
ristorante sono molteplici e vanno dalla gestione della cantina alla creazione della carta dei vini. Una professione, dunque, che richiede non solo la sensibilità del naso e del palato, ma
anche una solida base culturale necessaria a inquadrare la geografia e la storia dei vini, una predisposizione al confronto con la gente. A raccontarci questo mestiere è Matteo Zappile,
ventinovenne chef sommelier del prestigioso Ristorante Il Pagliaccio di Roma e direttore amministrativo dell’associazione Noi di Sala.
Come ha deciso di fare questo lavoro?
«Tutto accadde un giorno d’ estate quando, giovanissimo, appena arrivato all’allora Palazzo Sasso in Costiera Amalfitana, cominciai a capire quanto era importante il vino in ristorazione, a
comprendere come un calice di questo prezioso nettare possa accompagnare una cena, una conversazione o semplicemente far emozionare con la sua bontà. E allora, completamente rapito dalla
passione, iniziai il mio percorso da sommelier. Come? Bevendo…e studiando…»
Che cosa significa essere un sommelier oggi?
«Significa essere un uomo di sala e di cantina, senza mai dimenticare che i sommelier sono prima dei camerieri: nessuno nasce sommelier, lo si diventa dopo tanta esperienza. Per me oggi, in
un mondo sconfinato fatto di tantissime aziende, fare il sommelier vuol dire riconoscere ai grandi vini la loro eccezionale fattura, ma allo stesso tempo cercare chi nei piccoli scantinati
crea dei grandissimi vini, con tanta umiltà e tanta passione».
Che requisiti deve avere chi vuole intraprendere questa carriera?
«Dedizione assoluta, ahimè alle volte anche a discapito della propria vita privata, passione, curiosità e tanta voglia di rialzarsi sempre da qualsiasi caduta. Non bisogna arrendersi mai:
occorre essere ambiziosi ma non arrivisti, coscienti che il tempo e l’esperienza sono i soli giudici della nostra carriera».
E quali ostacoli deve affrontare?
«Gli ostacoli sono infiniti: le tante ore di lavoro, la lontananza dalle persone care, lo studio intenso al punto di addormentarsi sui libri, i viaggi di lavoro, i festival, le fiere. Ma
tutto questo non deve far dimenticare la cosa più importante: essere tra i tavoli, perché il sommelier deve vivere la sala, deve essere a stretto contatto con il cliente, capire le sue
esigenze e risolvere al meglio delle sue possibilità».
Quali sono le più grandi soddisfazioni in questo mestiere?
«La più grande soddisfazione si prova quando hai saputo “leggere” e “capire” che tipo di cena si stia svolgendo al tavolo, riuscendo a far emozionare davvero i clienti: una coppia che esce
dal ristorante e lui, dopo aver accompagnato fuori lei ritorna indietro e ti dice: “grazie! Ho passato la serata più bella della mia vita!” Premi, riconoscimenti e congratulazioni sono molto
importanti, ma nulla è meglio di quando riesci a far bene il tuo lavoro».
Che cosa consiglierebbe a un ragazzo che coltiva il sogno di fare il sommelier?
«Gli consiglierei di essere il più possibile curioso, di voler sapere, conoscere, ricercare e accompagnare il tutto con uno studio assiduo e degustazioni».
Qual è il suo rapporto con il vino?
«Amo profondamente il vino, ma soprattutto amo la storia che lo compone: ogni bottiglia é fatta di tante storie, da quella del trattorista che ha portato l’uva in cantina a quella
dell’enologo che ha scelto una determinata zona e non un’altra e così via».
E con i clienti?
«Il rapporto con i clienti é fondamentale, raccontare un vino altrettanto; una mera carta dei vini, fredda, in se stessa non servirebbe a far capire ad un cliente il frutto di tanti
sacrifici».
Qual è la cosa più curiosa che le sia mai successa in sala?
«Ho cominciato a scrivere appunti sui clienti, per ricordarmi un giorno di quanto questo lavoro sia curioso e bellissimo al tempo stesso. Ci sono stati tanti episodi e son sicuro ce ne
saranno altri: ogni giorno si svolge una scena diversa su questo palcoscenico chiamato “Ristorante”».
Le è mai capitato che un cliente rimandasse indietro una bottiglia?
«Sì, certo: come ogni sommelier mi son trovato a gestire anche questa situazione; ovviamente scontrarsi su una base culturale con un cliente non é mai facile; mi riservo sempre di far capire
a ogni ospite pregi e difetti di ogni vino, ma quando, nonostante le mie parole, quella bottiglia ancora non dovesse piacere, procedo a cambiarla senza alcun problema».
Quali sono i clienti più difficili?
«Sono coloro che cercano in tutti i modi di creare una difficoltà, senza però tenere presente che ogni sommelier con la sua preparazione ed esperienza é in grado di gestire ogni situazione».
Come si costruisce una carta dei vini?
«Si costruisce in base a tanti fattori: budget, territorialità, tipo di cucina, target di clientela e ovviamente preferenze del sommelier».
Quali sono i prodotti su cui puntare oggi?
«Sicuramente c’è una ricerca sempre più diretta verso i vitigni autoctoni, quelli che, a volte considerati “minori”, sono invece frutto di cultura e storicità del luogo di appartenenza».
Vini italiani o stranieri?
«Vini italiani e stranieri: ogni vino ha una sua collocazione, mai banale e mai scontata; generalmente preferisco il Belpaese, ma bisogna dare atto che anche altre Nazioni fanno dei vini
capaci di emozionare».
Qual è il suo preferito e perché?
«Non ho vini preferiti, ho vini che mi ricordano determinati momenti della mia vita, ad esempio il primo vino che ho stappato in assoluto, in una notte d’estate. Sono legato a una
degustazione emozionale più che di etichetta».
È più difficile degustare o raccontare un vino?
«La difficoltà non é nel degustarlo, la difficoltà é nel raccontare un vino quando essenzialmente non ti piace, ma sei un professionista e devi farlo».
La terminologia di chi “spiega” a un cliente un vino è spesso oggetto di parodia: quanto è difficile tenere in equilibrio serietà e leggerezza?
«Spiegare un vino ad un cliente é molto semplice, basta capire che cliente é dalle richieste che fa, dalla bottiglia che ha scelto e dalle indicazioni che da: in base a tutto questo ogni
sommelier deve adottare la terminologia giusta».
So che ha appena vinto il “Premio al ristorante con Sommelier attento al mondo della birra”: che importanza hanno oggi le birre nell’alta ristorazione?
«Amo le birre, ricevere quel premio mi ha reso molto orgoglioso, spesso si pensa alla birra come a una bevanda nata per accompagnare la pizza; invece ho creato una carta di oltre 10 etichette
di birre che cambio ciclicamente; le uso per fare gli abbinamenti con i piatti del nostro chef e trovano sempre un grande successo».
Come è cambiato il mestiere negli ultimi anni?
«É cambiato molto, sostanzialmente perché il cliente é cambiato molto: si seguono varie mode, che spesso non danno nessuna emozione in termine di degustazione, ma che invece trovano un grande
successo nel pubblico. Ecco, qui il sommelier 2.0 ovvero il sommelier dei nostri giorni, deve saper trovare un giusto compromesso tra le mode e l’alta qualità».
E come pensa che cambierà in futuro?
«Nel futuro avremo sempre più aziende con una qualità sempre maggiore, e la difficoltà per ogni sommelier sarà sempre quella di dover scegliere. Invece in senso tecnico, la figura del
sommelier sarà sempre più legata alla psicologia del cliente: dovrà capire i momenti, capire le situazioni, e regolarsi di conseguenza, cercando di rendere ogni pasto un momento
indimenticabile.
Di Daniela Guaiti
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